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Il fotogiornalismo digitale nell'era del "selfie"

06/11/2014

Facciamo una foto! Poi domani te la invio...Ormai scattare, ai tempi del digitale, è la cosa più facile del mondo. Metti la foto in una chiavetta, o la trasmetti direttamente col cellulare o il tablet. Poi va su Facebook o Twitter e fa il giro di tutti gli amici e dei followers. Foto banali di una festa di compleanno. Ma anche di un concerto, di un tramonto, di una nevicata, di un incidente, di un avvenimento sportivo, di un fatto di cronaca. Pensate all'alluvione di Genova e di Carrara, oppure a uno scontro di ultras o dimostranti.

Quello recente di Roma, per esempio, tra gli operai di Terni e la polizia. Foto e video hanno fatto il giro di tutte le  redazioni e dei telegiornali. Un video di "Gazebo" ha perfino messo in evidenza gli eccessi di alcuni responsabili delle forze del'ordine mettendo in pesante imbarazzo il ministro degli Interni Alfano.

Nell'era del 'selfie' un clic va subito in circolo. Ma se tutti sono fotografi, come si attrezza un professionista della fotografia? Non rischia di arrivare sempre tardi? Di essere superato? Di finire come i giornalisti della carta stampata, sempre più bruciati da quelli online e dai social?

Domande lecite, che arrivano quando i buoi sono già scappati dalla stalla. Come racconta Mario Rebeschini, 70 anni, celebre giornalista e  fotoreporter. Collaboratore di molti giornali, riviste e case editrici.
"Quello che tu mi dici, me l'ha fatto notare un lavoratore indiano in una porcilaia di Reggio Emilia. M ha detto: povero Rebeschini, ma oggi è venerdì'! Le tue foto potrai vederle solo lunedì... Ma come fai ad aspettare tanto tempo? Bene, quel lunedì, feci un altra cosa: passai direttamente al digitale..."
Rebeschini, in 30 anni di professione, non si è fatto mancare niente... "Sì, ho cominciato come grafico e pubblicitario. Poi la cronaca, la politica, gli esteri. Ma io ho sempre preferito raccontare le storie. Le storie dei protagonisti, certo, ma anche degli ultimi, dei dimenticati dalla storia..."
 
-Hai faticato a passare al digitale? E' cambiato molto?
" E' cambiato moltissimo. Faccio un esempio: prima quando lavoravo con la pellicola non sapevo se gli errori della fotografia dipendevano da me o da chi aveva sviluppato. C'erano troppe variabili. Adesso, quello scatto è tutto mio. Scatto io e modifico io. E' come lavorare in una camera oscura più evoluta. Vai via con tre  memorie e torni a casa con mille foto. Scatti con più serenità. Certo, qualche errore lo fai lo stesso, ma sei più tranquillo...."
 
-Però...? 
"Sì, c'è un però. Tutta questa velocità ti fa perdere il contatto col giornale, Tutto ormai avviene on line: spedisci la foto, spieghi con una mail, eccetera. A noi fotoreporter non ci conosce più nessuno. Quando molti di noi hanno voluto diventare giornalisti, il direttore cui ci rivolgevamo diceva: ma chi sei?Io non ti conosco... Insomma, abbiamo perso il contatto con le redazioni e poi la fotografia è diventata proprietà di tutti...
 
-Dicevi della velocità... Cosa cambia operativamente?
Cambia che  sei tagliato fuori dalle news. Per l'attentato nella metropolitana di Londra, i cittadini ci hanno preceduto. Le foto giravano già nel mondo. Tutto era già nelle redazioni. Questo poi non vuol dire che le foto fossero belle. E qui si torna al punto: Quando c'era il contatto con le redazioni si riusciva a spiegare quali erano le foto giuste, parlavi col caporedattore, c'era una sinergia. Ora le foto sono un capriccio del grafico. Se prevede un taglio verticale, e tu gliene porti uno  orizzontale, te lo taglia in modo orribile. Non sono passatista, ma non c'è più cultura fotografica, sono tutti adoratori dei testi..."
 
-Una frustrazione, vero?...
"Sì, perché si abbassa la qualità. Nei giornali la differenza si nota nelle pagine degli esteri, dove trovi ancora delle belle immagini. Che vengono fatte dai reporter di guerra, gli unici che rischiano la pelle. Ma sono anche gli unici che hanno ancora un mercato... "
 
-E gli altri? Che cosa devono fare?
"Devono cambiare drasticamente: da fotoreporter diventare anche giornalisti. Meglio: dei fotogiornalisti in grado di scrivere un buon testo e scattare belle immagini. Gente che sappia fare la differenza rispetto a chi scatta con una macchina qualunque con un palo o una siepe che taglia la visuale..." 
 
Mario Rebeschini, che è anche Consigliere nazionale dell'Ordine, organizza corsi anche per la Scuola superiore di giornalismo dell'Università di Bologna ed è presidente dell'Associazione italiana reporter fotografi.
 
-Che cosa consigli a un giovane che vuole seguire questo mestiere?  
"Due cose. La prima di imparare a scrivere bene i testi. E poi di andare a cercare le notizie mai approfondite. Vai in un campo rom e parli con degli zingari scacciati dalle città. E poi fai un bel racconto fotografico. Ma resta un problema: a chi lo dai? Non c'è più nessun settimanale che dia spazio alle foto di qualità. Pagano solo le paparazzate, come quelle della ministra Madia col gelato". 
 
Rebeschini, come tutti i grandi, non ama compiacersi delle sue avventure professionali. Anzi, dobbiamo ricordare noi che ha seguito il lungo Tour elettorale dell'ex premier Romano Prodi (In pullman con Prodi, un fotografo in viaggio col professore) e che nel gennaio del 2013 ha subìto, insieme ad altri tre colleghi, un sequestro lampo da parte degli Hezbollah nel Sud del Libano. 
"Sì, ma è andato tutto bene, ci hanno lasciato dopo poche ore..." minimizza Rebeschini con ironia. "Se vai in quei posti, può succedere, fa parte dei rischi del mestiere. Come anche quello di essere licenziato dalla sera alla mattina. E' successo a un giovane fotografo del New York Times. Non gli hanno detto nemmeno perché.  E lui sai cosa ha fatto? Dopo una crisi pazzesca, si è inventato un nuovo mestiere. Ha contattato i giornali di tutto il mondo, e quando fa delle foto, le manda con dei testi in Inglese, spagnolo e tedesco. In questo modo è diventato ricchissimo... "  
 
-Ultima cosa. Il web salverà anche i fotografi?  

"Non lo so. Di sicuro anche il web deve cominciare a pagare. Soprattutto i quotidiani on line.  Non siamo benefattori... Non si può fare tutto gratis.. La mia speranza è che prima o poi , finita la grande ubriacatura, tornerà il bisogno di raccontare con le immagini. A quel punto, emergerà solo chi saprà utilizzare tutti gli strumenti: dal telefonino alla macchina fotografica evoluta. Chi sarà in grado di trasmettere in tutto il mondo, con dei testi precisi scritti in più lingue, allora tornerà al centro della scena".