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I minori e la stampa, una tutela "in divenire"

26/02/2015
All’inizio sono stati considerati quasi “cose”, poi una forza-lavoro da regolare, quindi soggetti deboli da proteggere, infine, e solo da poco, portatori di diritti.
E’ stata lunga, difficile, mutevole, la storia italiana dei soggetti umani che non hanno ancora raggiunto l’età dell’autonomia nell’intendere e nel volere e pertanto definiti “minorenni,” con un termine che sa tanto di sottospecie nel contesto sociale. La relazione morale e giuridica di questi soggetti con gli strumenti di comunicazione di massa è poi una “particolarità” che, da noi, è stata vista in forma di principio generale solo nella nuova Costituzione repubblicana e che è stata sviluppata da non più di vent’anni. Conquiste nuove, dunque, in una vicenda antica.
In questa cornice si colloca dapprima il diritto romano-medioevale (fonte originaria della nostra legislazione) che pone il minore sotto la totale autorità paterna (Ius potestatis) e dà al genitore perfino il diritto di vita e di morte. Segue la collocazione nella forza-lavoro, da utilizzarsi dapprima nei campi e nella pastorizia, poi nelle fabbriche e nei cantieri, e solo  verso la fine dell’800 nascono le prime leggi di “giustizia”,  su spinta di movimenti di opinione tendenti a mettere in risalto i  bisogni dei minori.
Si devono però attendere gli Anni Venti del Novecento per la prima rivalutazione del minore in funzione della tutela fisica e morale della stirpe,  che dà vita all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) con funzione di assistenza e di vigilanza a sostegno della campagna demografica del regime. Segue l’Opera Nazionale Balilla con lo scopo di curare il benessere e la salute, fisica e ideologica, dei futuri combattenti.
Nel 1934 è stilato poi il Testo Unico delle leggi sulla protezione e assistenza della maternità e infanzia ed è costituita  l’Opera Nazionale Protezione Infanzia (ONPI) volta all’assistenza e alla vigilanza sulle istituzioni e sugli enti che accolgono fanciulli o sono investiti di poteri su di loro. Si fa strada, dunque e comunque, il concetto del minore come soggetto debole, da proteggere da aggressioni esterne e da situazioni di disturbo e in questo spirito è istituito, sempre nel ’34, il Tribunale per i Minorenni, con magistratura specializzata e funzioni esclusive in sede penale e civile.
La nuova Costituzione Italiana  sancisce infine la necessità di tutela della famiglia e di protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù (articolo 31) e per la prima volta  prende in considerazione pure il rapporto fra stampa e cittadini minorenni con il divieto di pubblicazioni, di spettacoli e di altre manifestazioni contrarie al buon costume ( articolo 21 comma 6).
Nella legge sulla stampa, emanata un mese dopo, il tema della necessità di tutela dei minori dalle “aggressioni esterne” è ulteriormente accentuato con le sanzioni per le pubblicazioni destinate ai fanciulli e agli adolescenti che offendano il loro sentimento morale (articolo 14, con riferimento al 528 del Codice Penale) o costituiscano  incitamento alla corruzione, al delitto o al suicidio o siano tali “da favorire il disfrenarsi di istinti di violenza e di indisciplina sociale”.
L’articolo15 (sempre in relazione al 528 CP) punisce, poi, le pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante, capaci di “turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o di provocare il diffondersi di suicidi o delitti”.
In questo quadro normativo è evidente che il principio base dei legislatori italiani del 1948 è quello di proteggere il minore come destinatario di libri, riviste, spettacoli e non come soggetto  attivo e protagonista di avvenimenti.
La svolta avviene, a livello di diritto internazionale,  con la prima “Dichiarazione dei diritti del fanciullo” varata nel 1958 dall’ assemblea generale ONU e seguita dalle “Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile” (assemblea ONU del  29/11/1985) e dalla  “Convenzione sui diritti del fanciullo” (New York  20/11/1989).
In quest’ultima assume particolare rilievo (ovviamente nell’ambito della nostra specifica analisi) l’articolo 17, che riguarda la funzione esercitata dai mass-media e l’informazione dovuta al fanciullo per il suo benessere sociale, spirituale e morale, nonché per la sua salute fisica e mentale. Altrettanto importante è  poi l’ articolo 40, che - nel trattare il tema del processo penale, cui riconosce anche uno scopo educativo-formativo - stabilisce il diritto del fanciullo a che “la sua vita privata sia pienamente rispettata in tutte le fasi della procedura”.
L’ Italia non è presa alla sprovvista da questo nuovo indirizzo perché fra il 1988 e l’89 ha già rivisto la figura del minore, come protagonista o implicato in  fatti- reato,  nei rinnovati  codici di procedura penale. Il fanciullo al di sotto dei 18 anni entra, infatti, nell’ articolo 114 CPP (comma 6) che vieta “ la pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni”. La regola  si coordina alle altre che tutelano specificamente il minore nell’ incidente probatorio (art. 398 comma 5 bis), il minore vittima di reati sessuali chiamato a testimoniare (art. 498 commi 4, 4 bis, 4 ter), il minore parte offesa o testimone nel dibattimento (art. 472 n.4).
E’stabilito pure che: “sono vietate la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento”(art. 13 Codice di Procedura Penale Minorile) e in tal modo la protezione dalla stampa si estende dal testimone, persona offesa o danneggiato dal reato, anche all’indagato, all’imputato, al parente, insomma ad ogni altro minorenne coinvolto a qualsiasi titolo nel processo.
C’è comunque da rilevare come a divieti così categorici conseguano sanzioni relativamente modeste(arresto fino a 30 giorni o ammenda da € 51 ad € 258, come fissato dal 684 CP) , ma c’è la novità importante sul ruolo, assegnato agli Ordini professionali, di intervento disciplinare in caso di violazione “commessa da impiegati dello Stato o di enti pubblici o da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato (giornalisti, avvocati, magistrati, n.d.r.)”.
L’azione disciplinare assume, quindi, un peso predominante rispetto alla modesta sanzione penale, a condizione che il P.M. non trascuri di fare la dovuta comunicazione.
Altra specifica sanzione è dettata dall’articolo penale 734 bis (introdotto dalla legge 66/1996) che dispone l’ arresto, da tre a sei mesi, per chi, nei casi di delitti di prostituzione e pornografia minorile, nonché  nei reati sessuali, divulghi, anche attraverso i mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l’immagine della persona offesa senza il suo consenso. (1-segue)