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Pillole di costanza e coraggio

23/11/2015
Jacopo Casoni (giornalista dell’emittente lombarda “Telenova”), all’esordio come scrittore, con “Il destino è solo una scusa” (Ed.Neos, pag.112, Euro 13,00) ricorda quindici sportivi, fuoriclasse che hanno scritto pagine memorabili nella storia dello sport. Campioni che nella vita hanno anche affrontato prove ardue, superandole, forti del coraggio e della convinzione dei propri mezzi.
“OG” ha incontrato Jacopo Casoni e lo ha intervistato.
Qual è stata la molla ispiratrice di queste pagine?
In realtà nasce tutto da uno di quei momenti lì, un po’ scuri se non bui.
C’ero dentro, annaspavo alla ricerca di qualcosa, di una “strada del cuore”, come mi aveva suggerito Maurizio Delucchi (che ha curato la postfazione del libro).
E allora ho pensato a quale fosse la mia passione, il mio sogno. Scrivere. Di cosa? Di chi poteva insegnare a tenere i sogni per la coda, non mollarli mai, neanche quando tutto sembra andato, perduto.
Allo sport devo tanto, anche professionalmente. E allora ho pensato di andare a caccia di esempi proprio lì e di mettermi alla prova, raccontando sì le loro vite ma partendo da momenti frutto della mia immaginazione, verosimili ma mai realmente vissuti dai protagonisti.
Chi sono i personaggi chiave e le protagoniste?
Quindici grandi dello sport, di tutte le discipline o quasi. Atleti che hanno dovuto affrontare situazioni limite, infortuni drammatici, malattie, pregiudizi, guerre. Per citarne alcuni, direi Wilma Rudolph, che da piccola soffrì di poliomielite e vinse tre ori olimpici appena sette anni dopo aver di fatto iniziato a camminare, mica correre… Muhammad Alì, con quel match contro George Foreman che sembrava talmente improbo da portare alcuni a supplicare quest’ultimo di non ammazzare l’avversario. La “mamma volante” Fanny Blankers-Koen, che secondo i paradigmi di allora doveva stare a casa ad accudire i figli e invece vinse quattro ori olimpici. E via così…
Sono dunque persone normali, forti del coraggio e della convinzione nei propri mezzi?
Assolutamente. Forse era questo che volevo raccontarmi e raccontare: che si può fare, con sacrificio e fatica, ma si può fare. Sempre.
In breve, qual è la storia più coinvolgente?
Elizabeth Robinson. L’ultimo protagonista doveva essere Alex Zanardi, poi ho pensato che lui fosse in ogni pagina, talmente grande da apparire comunque. E quando ho rintracciato questa storia ho voluto che fosse lei a chiudere il libro. In breve. Vince l’oro nei cento metri all’Olipiade del 1928, prepara il bis per il ’32 a casa sua, in America, a Los Angeles. Precipita con un biplano, la trovano e la credono morta, all’obitorio certificano il coma. Si risveglia dopo sette mesi. I medici dicono: è un miracolo, ma non potrà più camminare, la gamba è troppo rovinata. Dopo due anni si alza dalla sedia a rotelle. I medici ribadiscono: miracolo, ma di correre non se ne parla e comunque la gamba è un centimetro e mezzo più corta dell’altra, non può stare sui blocchi. Si dedica alla staffetta, tre su quattro partono “in piedi”… Vince l’oro nella 4X100 ai Giochi di Berlino, nel 1936. Altro? Credo basti.