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Prosegue la crisi dell'editoria tradizionale, con la carta stampata e i libri che non danno segni di ripresa. ‘Oggi in Italia si vende poco più della metà delle copie di quotidiani che si vendevano venticinque anni fa. Siamo passati da poco meno di 7 milioni di copie giornaliere nel 1990 a meno di 4 milioni. Il 20,8% degli italiani legge i quotidiani online e il 34,3% i siti web di news’. E’ l'Italia del 'digital divide' tra giovani e anziani rispetto all'uso della rete. Su internet si va innanzitutto per i servizi, ma sempre più anche per l'e-commerce.
Una vera e propria trasformazione dovuta dunque alle tecnologie digitali. Trasformazione che vede 2 passaggi centrali: la crescita dei media e la tendenza che ha portato l’ io-lettore-utente al centro del sistema, rendendolo in grado di soddisfare bisogni e aspettative. I dati ci illustrano la tendenza dei media digitali che si stanno progressivamente muovendo verso funzioni che vanno oltre quelle di comunicare e informarsi: circa il 38% degli utenti di internet utilizza il web non solo per comunicare e informarsi, cifra che sale al 50,8% tra i piu’ giovani.
‘Nelle realtà locali si è affermato un marcato policentrismo degli strumenti mediatici a disposizione dei cittadini, che passa dal recupero delle testate locali alla sperimentazione delle tante forme di web community. A livello locale si contano più di 500 televisioni attive, oltre 1.000 emittenti radio, più di un centinaio di quotidiani, una miriade di testate web e blog’. Con il 68,9% di utenti, il tg regionale della Rai è il mezzo più usato. Seguono le tv locali private, con il 51,6% di utenza, e i quotidiani locali (40,2%), che si confermano il terzo mezzo più seguito.
Per quanto riguarda il campo ‘advertising’, nei primi sei mesi del 2014 si evidenzia un calo complessivo degli investimenti pubblicitari del 2,4%. La televisione segna un +1,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, la carta stampata registra una flessione dell'11%, la radio del 2,9% e internet, La televisione resta il mezzo piu’ seguito, i quotidiani assorbono una fetta di mercato pari al 12,7% contro il 7,6% della stampa periodica, internet si attesta al 7,3% del totale.
A Giuseppe De Rita, sociologo italiano e Presidente Censis, chiediamo:
Nell’attuale società italiana ho rilevato la presenza di sette contenitori, caratterizzati da grande potenza interna ma con grandi difficoltà a stabilire significativi rapporti esterni. Li ho definiti “giare” perché, semanticamente, rappresentano mondi non dialoganti tra loro che, per questa incomunicabilità, rimangono a sobbollire in maniera inefficace. La prima giara che vive della propria potenza è quella del circuito sovranazionale, dal quale siamo sempre più condizionati. La seconda giara è quella della politica interna che ha prodotto, come reazione al proprio confinamento nazionale, il rilancio del primato della politica, che ha il difetto di non avere efficacia esterna e collettiva. Il terzo circuito è quello del funzionamento istituzionale. Per effetto della complessità crescente della vita sociale, le istituzioni hanno cominciato a vivere in una dinamica tutta loro e ad esprimere quasi una estraneità dalla realtà quotidiana. È un mondo che non fornisce alcun serio servizio alla dimensione superiore (la politica) e quasi nessuno neanche alla società. C’è poi la giara delle minoranze vitali. È un insieme variegato, che si riteneva capace di trasmettere energia e orientamento agli altri segmenti della società. Purtroppo tende a non fare gruppo e ad aumentare il proprio congenito individualismo. Vive di se stesso anche il mondo della gente normale, che non va né avanti, attraverso iniziative di impegno sociale, né indietro, non accettando di essere stato retrocesso nella composizione sociale, tanto che la precarietà viene vista come una fase permanente che comunque “regge”. La sesta giara è quella del “sommerso”. Negli ultimi anni il fenomeno, da sempre presente, si è ulteriormente dilatato, perché il sommerso è ormai una componente strutturale e permanente della nostra società. Se ha rinforzato da un lato la sua dinamica interna, dall’altro è estraneo alla generale evoluzione e alle generali politiche di sistema. Infine, il panorama dei circuiti che vivono di se stessi non sarebbe completo se non si nominasse il grande mondo dei media.
Al giorno d’oggi i mezzi di comunicazione stanno vivendo una doppia dinamica interna. La prima di tali dinamiche viene dal fatto che il mondo della comunicazione è incardinato al perno del binomio opinione-evento, in misura tale da domandarsi quali pezzi di società alla fine i media rispecchino. La seconda dinamica in gioco è la crescita degli strumenti digitali di comunicazione e relazione che accrescono la tendenza dei singoli all’introflessione. L’io è al tempo stesso soggetto e oggetto della comunicazione mediatica, anche perché l’autoproduzione di contenuti nell’ambiente web privilegia in massima parte l’esibizione del sé. Gli utenti della rete creano a getto continuo contenuti immettendo in rete con grande disinvoltura una quantità di dati personali impressionante: l’individuo si specchia nei media, di cui contemporaneamente è contenuto e produttore. A causa di questi snodi, il mondo della comunicazione si relaziona poco con le altre giare, svolgendo solo ruoli di supporto. La sua presenza è grande ma la sua efficacia collettiva limitata.
La grande trasformazione dei media a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ha portato l’utente al centro del sistema, in parte perché, costruendosi autonomi percorsi individuali di accesso alle informazioni, si è svincolato dalla comunicazione verticale delle fonti ufficiali, in parte per il ruolo che ha assunto nella gestione dei contenuti. Grazie alle tecnologie digitali, il singolo non è più semplicemente uno spettatore inattivo, ma diventa un produttore di contenuti: questa è la personalizzazione dei media. L’aspetto della disintermediazione consente di fare un passo in più, permette cioè agli utenti di saltare le mediazioni non solo per quel che riguarda il mondo dell’informazione. Con i nuovi media è possibile mettere a diretto contatto gli interlocutori con qualunque servizio di loro interesse: non è più necessario recarsi in un’agenzia turistica per prenotare un viaggio, o in un negozio di calzature per comprare un paio di scarpe. Questo processo sta determinando lo sviluppo di una nuova economia che sposta la creazione di valore da filiere produttive e occupazionali tradizionali verso nuovi ambiti.
E’ evidente che il web ha messo in campo nuove opportunità che hanno determinato rapidi e profondi cambiamenti. Tuttavia, una rivoluzione di questa portata va gestita, perché le trasformazioni, per quanto positive, spesso hanno un rovescio della medaglia. Ne è un esempio l’impatto che hanno i new media sulla tutela della privacy. Naturalmente porre seri limiti riguardanti la protezione dei dati determinerà delle resistenze, poiché significherà per i big players rinunciare ad accumulare un patrimonio in dati. Il secondo grosso problema del web è quello della gratuità dei contenuti. Anche in questo caso andrebbero prese delle decisioni in tema di protezione della proprietà intellettuale. Imporre un fee per scaricare una risorsa può essere garanzia di migliore qualità nonché, per le aziende editoriali, speranza di un futuro ma, data la concorrenza, senza una disciplina, si può correre il rischio di veder veleggiare l’utenza verso altri lidi. Si tratta di due questioni delle quali si sta dibattendo da molto tempo, che dovranno essere prima o poi regolamentate.