“Riforme, riforme, riforme” è il grido che spesso viene lanciato dalle componenti più diverse di un qualsiasi Paese che intende guardare avanti attraverso l’adattamento della sua società alle nuove realtà ed esigenze. Anche se è vero che, spesso, si tratta di un grido strumentale che punta ad accattivarsi le simpatie di una o più categorie o, più generale, della cosiddetta opinione pubblica.
Nel caso nostro, della categoria dei giornalisti, il “grido” è un’autentica necessità determinata dalla crescita esponenziale delle possibilità, soprattutto tecnologiche, di informare; più in generale di comunicare con i cittadini, il pubblico, i fruitori terminali di una qualsiasi notizia.
Il giornalismo, in sostanza, ha bisogno di “riforme”, di adeguamenti alla realtà, che volenti o nolenti sono portate se non imposte dal mutare della società, dalle sue esigenze, e – soprattutto nell’epoca che stiamo vivendo – dalle tecnologie.
Non pochi di noi, ad esempio, sono portatori di una idea che nella sua sostanza è inconfutabile: giornalista è chi lo fa. Poi analizzando in dettaglio le varie realtà ci si rende conto che l’affermazione ha bisogno di qualche regola capace di incanalarla sui giusti binari.
Sulla scia dell’affermazione “giornalista è chi lo fa” molti si fanno paladini anche della inutilità dell’Ordine professionale. Dicono: è nella libertà, nel mercato, nel desiderio del “lettore” di sapere tutto e di più, che si estrinseca al meglio la possibilità di informare. E si citano altri Paesi dove l’Ordine professionale non esiste.
Quasi tutto vero; ma quasi.
Sì perché – tanto per cominciare – anche in questi citati Paesi esistono regole chiare sul come svolgere la professione, Ordine o non Ordine. Anzi non pochi guardano al nostro ordinamento proprio perché almeno nella sua idea base punta a stabilire dei binari lungo i quali far muovere il treno. Solo in un Paese anarchico si può pensare di muoversi come meglio si crede. In realtà, penso, che pur nella più ampia libertà che ci possa consentire di sviluppare qualsiasi tematica, rimane in piedi “il modo” su come informare. E’ un po’ come quando affronti tematiche che ti dividono magari con i tuoi o con gli amici o negli ambienti più disparati. Il punto non è tanto quello che si discute e si dibatte, perché credo che tutti debbano avere la possibilità di esprimere ciò che pensano, ma non raramente la discussione riesce a centrare la sua funzione in base “al garbo” con cui si sostiene la propria tesi.
Dato per scontato, quindi, che l’Ordine dei Giornalisti ha avuto, ha ed avrà una precisa funzione, dobbiamo ridisegnare i contorni nei quali muoverci. Non facile, certo, ma indispensabile. Ecco perché penso che i prossimi Consigli nazionale e regionali che scaturiranno dalle elezioni di rinnovo della prossima primavera dovranno mettere al primo posto il resettamento di tutta la materia: dalla indispensabile e non più rinviabile riforma della legge istitutiva alla definizione di un modus per far interagire maggiormente gli Ordini regionali con quello Nazionale, dalla revisione di una legge importante come la 150 che non ha procurato ciò che ci si aspettava fino alla apertura di un dibattito sulla autonomia e sulla convenienza o meno di mantenere in vita ordini regionali molto piccoli per i quali, penso, sono auspicabili norme capaci di favorire sinergie o fusioni con Ordini vicini.
Questi sono solo flash, di esempi e percorsi ne potremmo tratteggiare tanti altri. In un clima di minore conflittualità fra le cosiddette “componenti” non sarebbe male cominciare fin da ora ad impostare il futuro perché i sei mesi che ci separano dai rinnovi sono davvero un battito d’ali.
di Luciano Gambucci