«I dati numerici su articoli e servizi confermano che il tema dell’immigrazione pervade il dibattito nazionale. Nonostante alcuni elementi positivi che emergono dal rapporto le violazioni continuano a essere numerose. La domanda che rivolgiamo agli ordini regionali e a quello nazionale è: chi dichiara di non rispettare deliberatamente le regole che ci siamo dati, e se ne chiama fuori, può stare nell’Ordine?», chiede Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma, in occasione della presentazione di
“Notizie di confine”, terzo Rapporto Carta di Roma, curato dall’Osservatorio europeo per la sicurezza.
Il 2015 rappresenta un anno significativo per la visibilità del tema dell’immigrazione, con un incremento di notizie che va dal 70 al 180% sui quotidiani e con un record di servizi nei tg nazionali prime time: 3.437, il numero più alto registrato negli ultimi 11 anni.
L’immigrazione ha avuto visibilità continua sia sulla carta stampata che in televisione, con picchi di attenzione in corrispondenza di particolari avvenimenti: in queste occasioni i quotidiani hanno dedicato all’argomento una media di 4/5 titoli al giorno in prima pagina, mentre per i telegiornali si contano circa 7 notizie per edizione.
Tra le cattive pratiche più diffuse, spiega presentando i dati Paola Barretta, Senior Media Analyst dell’Osservatorio di Pavia «l’associazione diretta dell’immigrazione alla criminalità e la presentazione di vox populi come rappresentative del sentire comune», mentre tra le buone pratiche più rilevanti «le forme di racconto alternativo, che offrono un approfondimento da una prospettiva diversa».
Alla crescita esponenziale di visibilità televisiva del tema immigrazione non ha corrisposto un aumento della paura e dell’insicurezza nei confronti di migranti e profughi.
«L’indice di insicurezza nei confronti degli immigrati non è aumentato», ribadisce Ilvo Diamanti, professore di Analisi dell’Opinione pubblica presso l’Università di Urbino e direttore scientifico di Demos & Pi. «I media più di tutti sono in grado di trasformare la realtà in un’idea condivisa, nell’opinione pubblica», sostiene Diamanti, spiegando che «un racconto corretto da parte dei media sull’immigrazione deve servire a costruire i confini cognitivi, e non altri».
È l’accoglienza il tema attorno al quale ruota la maggior parte della comunicazione sull’immigrazione.
Oltre la metà dei titoli analizzati sui quotidiani (55%) contiene un riferimento alla gestione (e all’emergenza) degli arrivi di migranti e profughi; a differenza degli anni passati, tuttavia, quella del 2015 è una comunicazione di “confine” in cui entrano in modo significativo l’Unione europea e gli altri paesi europei: il muro in Ungheria, le “interminabili” file alle frontiere, Calais, l’euro-tunnel e ancora i vertici politici e tutte le questioni legate alle quote.
Anche nei telegiornali l’accoglienza è in cima all’agenda (55%), seguita dalla cronaca degli sbarchi (24%) e dalla criminalità e sicurezza (23%).
L’enfasi narrativa in chiave emergenziale è correlata principalmente ai flussi migratori, all’accoglienza nelle città italiane, agli eventuali rischi sanitari e al timore di attentati terroristici.
Nei telegiornali il tono della comunicazione diventa allarmistico e sensazionalistico soprattutto in concomitanza dei picchi di attenzione, con immagini del degrado delle città per le concentrazioni di migranti in attesa di una destinazione, con racconti di centinaia, migliaia di arrivi sulle nostre coste, con il problema della distribuzione degli aiuti (“a scapito degli italiani in difficoltà”).
«Più che in mala fede, noi giornalisti siamo pigri. La pigrizia ci spinge a semplificare: semplificazioni e generalizzazioni ci portano a commettere errori», sottolinea Marcello Masi, direttore del Tg2. «Le immagini sono armi potenti, dobbiamo usarle con consapevolezza – prosegue Masi – L’unica via è l’approfondimento: come Tg2 realizziamo servizi che durano anche 5-6 minuti e ne siamo ripagati. La gente vuole capire».
Nei quotidiani il tono dei titoli analizzati è allarmistico nel 47% dei casi: si tratta spesso di evocazioni negative (“l’invasione dei migranti”, il timore di attentati terroristici, i migranti nelle stazioni, i centri di accoglienza al collasso); alcune volte, invece, si tematizza la preoccupazione per le tragedie e le sofferenze di profughi e migranti (i naufragi nel racconto dei sopravvissuti, le fughe dalla guerra, lo sfruttamento lavorativo in Italia, i soprusi e le violenze subite durante le traversate). Mentre vi è un incremento della visibilità del binomio terrorismo-immigrazione, si segnala una diminuzione della visibilità della criminalità comune associata all’immigrazione (presente nel 6% dei casi).
«Al mondo della comunicazione non si richiede un atteggiamento di particolare “favore” nei confronti dei migranti o dei rifugiati, bensì una rappresentazione veritiera, capace di analizzare in maniera razionale e scevra da preconcetti e stereotipi il fenomeno delle migrazioni», afferma Laura Boldrini, presidente della Camera dei Deputati.
«Quelle che all’estero verrebbero classificate come hate speech, da noi vengono spesso trattate come esternazioni “folkloristiche” – aggiunge Boldrini – A questo scopo occorre alzare lo sguardo, non riproponendo, soprattutto in televisione, una sterile ed autoreferenziale contrapposizione tra posizioni semplificate, urlate, sloganistiche, ma allargando e arricchendo il dibattito con il racconto, la testimonianza diretta dei protagonisti: associazioni migranti e rifugiati».
Punto, questo, sul quale l’informazione televisiva deve ancora lavorare: migranti e profughi hanno voce nel 7% dei servizi, rappresentanti di associazioni e organizzazioni umanitarie, medici, esponenti delle forze dell’ordine sono presenti nel 5%. Se i migranti hanno voce per lo più in relazione all’accoglienza (40%), rappresentanti della comunità rom, invece, intervengono nel 65% dei casi in relazione a fatti di criminalità e di ordine pubblico.